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Il miele di Calice al Cornoviglio

March 31, 2023

Un territorio e la sua dolcezza.

Il legame del miele con il territorio di Calice e la cultura per questo prodotto risale a molti anni fa, già nella prima metà dell’ottocento esistono testimonianze che ci permettono di affermare che esistevano contadini che integravano con questa attività se pur marginale e senza conoscenze approfondite il loro reddito, spesso recuperavano dai tronchi di alberi il miele con metodi rudimentali, nella maggior parte dei casi le api non sopravvivevano altre volte venivano appositamente soppresse per facilitare il recupero. La prima evoluzione si è avuta nella sconda metà dell’ottocento, quando andò diffondendosi la tecnica dell’allevamento con l’utilizzo dei bugni rustici, una porzione di albero della lunghezza di 80-90 cm e del diametro di circa 30- 40 cm veniva completamente svuotata, all’interno si collocavano due bastoncini solitamente incrociati per facilitare la costruzione dei favi. Il tronco veniva poggiato su un piano in legno o in pietra in modo che rimanesse stabile in posizione verticale, l’apertura in alto veniva chiusa con una lastra per proteggere le api dalle intemperie, nella parte bassa o in quella centrale veniva praticata un’apertura di qualche centimetro per permettere l’ingresso alle api. Solitamente questi bugni venivano popolati raccogliendo sciami naturali che facilmente in primavera si poggiavano fuoriusciti da cavità di alberi, anfratti o anche da altri bugni sulle piante vicine. Questa tecnica nonostante fosse da considerare una prima forma di allevamento aveva moltissimi limiti, il principale era quello che purtroppo si praticava l’apicidio al momento della raccolta del miele. Nei primi anni del 1900 l’uso del bugno rustico nel territorio Calicese era molto diffuso tanto che quasi ogni famiglia ne possedeva alcuni, producendo miele per soddisfare le proprie necessità. Ricorda Montanari Lino che quando era bambino, suo padre Umberto possedeva almeno una ventina di famiglie, nel mese di ottobre si effettuava la raccolta del miele, mediante una apposita sgorbia a manico lungo, (attrezzo conservato all’interno del Museo) costruita in loco, si procedeva al distacco dei favi contenenti il miele dall’interno dei bugni, il tutto veniva stoccato in contenitori di legno adatti per il trasporto su animali (nella forma dialettale Calicese sono chiamati soghi). Guerrieri Roberto di professione mulattiere si occupava di raccogliere questi contenitori da vari produttori e di conferirli nel Pontremolese dove il miele era venduto, l’appuntamento si ripeteva ogni anno ed erano necessari più viaggi per poter conferire tutta la produzione. Tra gli apicoltori più importanti del periodo ricordiamo Umberto Montanari e Guerrieri Antonio a Villagrossa, Saccomani Costante a Debeduse, Rapallini Vittorio loc. Borasco, Paita Dante e Andreoni Natale a Santa Maria, Andreoni Narciso loc. Campi.
Nei decenni successivi andò affermandosi un tipo di allevamento sempre più razionale con l’introduzione dei favi mobili montati su telaietti in legno che permettevano il controllo delle api e l’estrazione del miele preservando la famiglia, sebbene non si trattasse ancora di arnia razionale si poteva già parlare di un allevamento evoluto, il limite era legato al fatto che diversi apicoltori costruivano delle casse in legno con telai mobili, ma che spesso avevano forme e misure diverse limitando la possibilità di interscambio. In queste casse si iniziarono a trasferire i bugni rustici mediante una tecnica particolare che a quanto pare è fu ideata, realizzata e utilizzata proprio nella nostra zona, si trattava di posizionare al posto della piastra superiore una tavola in legno con un’apertura circolare del diametro del tronco in modo da realizzare una tenuta sufficiente da evitare la fuoriuscita delle api, su questo piano veniva appoggiata la cassa contenente i telai su cui erano state fissate (quando erano disponibili ) piccole striscioline di cera, per indirizzare le api a costruire in quella zona. A questo punto irrorando dal basso (solitamente dall’apertura che le api utilizzavano come ingresso) abbondanti quantità di fumo, si costringeva le api risalire verso l’alto e ad andare ad occupare la nuova dimora. Completato il trasferimento, il bugno rustico veniva tolto e la nuova cassa veniva collocata al suo posto.

May 20, 2023
E' sempre rischioso, senza il confroto di specialisti, avventurarsi nel tentativo di comprendere il significato del nome di un luogo. Per il nome "Garbugliaga" si potrebbe avanzare timidamente l'ipotesi di un legame con il vocabolo "garbuglio" (da un possibile tema "grov" "grav" "grab" "garb" che, secondo alcuni studiosi, sarebbe lo stesso all'origine dei vocaboli Groppo e gruppo, ad indicare il serrato intreccio di case che compongono il borgo. Suggestiva l'osservazione che le località con finale in "ago", "aga", "igo", "iga" possono corrispondere ad antiche proprietà agricole che si ritrovano in Italia dovunque si sono insediate popolazioni protoceltiche e galliche. A Suvero e Veppo, del resto, sono documentate tracce di antichi insediamenti liguri. La storia più recente di garbugliaga è strettamente connessa con quella di Beverone: entrambi infatti erano dipendenti dalla rettoria di Stadomelli, antico distretto del vescovo di Luni. Beverone e Garbugliaga dovettero dunque essere presidi del vescovo di Luni sopra le terre dell'abbazia di Brugnato. Con il declino del potere temporale dei vescovi di Luni, Beverone e Garbugliaga passarono quindi sotto la signoria dei marchesi Malaspina di Villafranca cui rimasero sino all'arrivo dei francesi alla fine del XVIII secolo. Dopo la parentesi rivoluzioanria, il Congresso di Vienna attribuì i territori degli ex feudi malaspiniani al duca di Modena, per essere quindi aggregati, con l'Unità d'Italia, alla Provincia di Massa Carrara. Il Comune di Rocchetta di Vara, di cui è parte Garbugliaga, fu inglobato nella neonata provincia della Spezia dal 2 fennraio 1923. L'attuale chiesa parrocchiale, dedicta a Sant'Anna e San Remigio fu edificata nel 1661 dalla famiglia Podestarelli di Cavanella di Vara. La dedica a San Remigio potrebbe mantenere memoria di un antico rifugio dedicato ai pellegrini francesi diretti a Roma, lungo una delle numerose possibili varianti della via Francigena. Il prim maggio 1926, per intervento del sacerdote don Giovanni Borsi, nativo di Garbugliaga e parroco di Avenza, Gabugliaga divenne parrocchia. il 17 settembre 1950 alla parrocchia fu annesso l'oratorio di Forno, dedicato alla Beata Vergine dei sette dolori, noto anche come Oratorio di Santa Croce. Sino al 1959 la parrocchia appartenne alla diocesi di Massa, poi denominata Apuania. DAL SITO DEL COMUNE DI Rocchetta di Vara
May 14, 2023
Tratto da: Catalogo Generale dei Beni Culturali - Beni archeologici per saperne di più collegati alla pagina del catalogo dei beni culturali con il link seguente
By Roberto Pomo May 5, 2023
Giorgio Pagano - 9 ottobre 2022 - Città della Spezia
By Roberto Pomo April 30, 2023
Una parte fondante nella nostra storia protetta dall'antico maniero.
By Roberto Pomo April 4, 2023
La storia. l toponimo Zignago deriverebbe[4] molto probabilmente dal termine dialettale Zignègu, cioè abitante vicino all’acqua. Il territorio, chiamato originariamente con il toponimo Cornia[4], fu zona di confine tra i Longobardi e i Bizantini. Divenuto possedimento feudale dei signori di Vezzano, i quali edificheranno a Zignago un castello, venne in seguito ceduto al comune di Pontremoli; fu quindi proprietà della famiglia nobiliare dei Fieschi di Lavagna. Nel 1273 entrò a far parte dei territori della Repubblica di Genova, in netto anticipo rispetto ad altri territori della val di Vara, sottraendolo al dominio della famiglia Malaspina, già signori della Lunigiana e di altri borghi dello spezzino. A metà del XVI secolo la repubblica genovese la elevò al titolo di podesteria con la nomina da Genova di un apposito magistrato. Così come gli altri paesi sotto il dominio genovese seguì le sorti e le vicende storiche di Genova quali l’invasione austriaca nel 1747 e quella francese di Napoleone Bonaparte nel 1797. Con la dominazione francese rientrò dal 2 dicembre nel Dipartimento del Vara, con capoluogo Levanto, all’interno della Repubblica Ligure. Dal 28 aprile del 1798 con i nuovi ordinamenti francesi, il territorio di Zignago rientrò nel III cantone, come capoluogo (Pieve di Zignago), della Giurisdizione di Mesco e dal 1803 centro principale del IV cantone di Godano nella Giurisdizione del Golfo di Venere. Annesso al Primo Impero francese, dal 13 giugno 1805 al 1814 venne inserito nel Dipartimento degli Appennini. Nel 1815 fu inglobato nella provincia di Levante del Regno di Sardegna, così come stabilì il Congresso di Vienna del 1814, e successivamente nel Regno d’Italia dal 1861. Dal 1859 al 1927 il territorio fu compreso nel IV mandamento di Godano del circondario di Levante facente parte della provincia di Genova prima e, con l’istituzione nel 1923, della provincia della Spezia poi. Al 1956 risalgono gli ultimi aggiustamenti al territorio comunale con il distacco della frazione di Bozzolo e il suo accorpamento nel territorio di Brugnato. Dal 1973 al 31 dicembre 2008 ha fatto parte della Comunità montana dell’Alta Val di Vara e con le nuove disposizioni della Legge Regionale n° 24 del 4 luglio 2008[6], in vigore dal 1º gennaio 2009, ha fatto parte della Comunità montana Val di Vara, quest’ultima soppressa con la Legge Regionale n° 23 del 29 dicembre 2010 e in vigore dal 1º maggio 20.
By Roberto Pomo March 30, 2023
Una storia millenaria che ancora si respira nel piccolo borgo del comune di Follo
By Claudia Fachinetti Liguria wine magazine16 Novembre 2017 March 29, 2023
Liguria wine magazine 16 Novembre 20 17
March 17, 2023
Insieme nel Ponente Ligure
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